Hanno cacciato Mancini. Non date la colpa ai cinesi. E’ stato Thohir. Forse il suo ultimo tocco di potere. Forse l’unico sensato. Ancorché ingrato. Dopo venti mesi e decine di milioni dissipati in acquisti strampalati voluti dal tecnico più smarrito che volubile, si è forse reso conto – lui che di soldi da spendere ne aveva pochi (dippiù da prestare) – dell’errore che aveva commesso esonerando Walter Mazzarri, colpevole, secondo i media locali, di essere un “piangina”. Mazzarri – lamenti a parte – aveva accettato di buon grado di ricostruire l’Inter pezzo dopo pezzo, con calma, senza sforare il budget. E ci sarebbe riuscito, come sempre, come dimostrava il suo curriculum di grande costruttore mai cacciato da un club, anzi ricordato fra Reggio Calabria e Napoli per aver ottenuto risultati miracolosi. Ma non aveva – si disse – un Immagine da Inter. Tentarono anche di costruirgliela, spingendolo a scrivere un libro sfigatorio (“Il bello deve ancora venire”) che contribuì all’esonero. Mancini aveva l’Immagine, forse solo quella, e fu accolto trionfalmente. Nella stessa stagione la sua performance fu inferiore a quella del predecessore, ma Moratti e Thohir mandarono i risultati negativi via col vento, all’insegna di “domani è un altro giorno”. Ma quando all’inizio del campionato i nerazzurri di un rinsavito Mancini tennero testa a tutti gli avversari, occupando per settimane la prima piazza, gli stessi immaginifici non gli perdonarono la sequenza di uno-a-zero, il presunto catenaccio, il prevalere di Melo, muscolare senza talento che tuttavia garantiva una saggia e forte copertura del farfalliere Handanovic duramente colpito da una Fiorentina yè-yè. Si credette pronto per il Bel Giuoco, Mancini. Cambiò registro, modulo, filosofia, tattica. E fallì.
Non è una storia misteriosa, ancora tutta da indagare, quella del Mancio attratto nella spirale dell’insuccesso. Ci son voluti mesi, e risultati fallimentari, e acquisti e cessioni irrazionali, e atteggiamenti spavaldi quando il cuore probabilmente suggeriva la resa (“Datemi Yaya Touré e vi solleverò il mondo”), per portare a una soluzione drammatica e comica insieme che tutto sommato il primo resuscitatore dell’Inter ante-Mourinho non meritava. E’ trascorsa infatti mezza estate prima che qualcuno cogliesse il significato di quei messaggi transoceanici che Roberto lanciava ogni giorno, chiedendo soccorsi che gli erano negati, come la solidarietà, e anche una onorevole via d’uscita. I cinesi l’avevano forse capito, confermandogli la fiducia non tanto di tecnico – che ne sanno, loro – quanto di capocantiere, secondo il progetto “mettiamo insieme i pezzi poi si vedrà”. Avrebbero fatto i conti a tempo debito. Thohir, spaventato dai debiti e sobillato da manovratori più o meno occulti, alla fine ha operato di mannaia, decapitando il tecnico. Secondo moda. A dieci giorni dal campionato. La Beneamata in lacrime non ringrazia. E’ anzi afflitta da un nuovo tormento: che i cinesi “buoni” siano quelli del Milan. Al cinoderby l’ardua sentenza.
@barbadilloit