È ufficiale la rottura tra Roberto Mancini e l’Inter. All’assordante silenzio della cruda notizia segue una tempesta vorticosa di caos che inghiotte il club. È questa l’impressione che la nuova dirigenza offre, ancor prima di sembrare rivoluzionaria e decisa. Un addio strano, come se le parti non si siano parlate fino in fondo -pare che le due ragioni principali del divorzio consistano in alcune clausole eccessivamente pretenziose del nuovo contratto e nella confusione generale che aleggia in ogni angolo della società nerazzurra-. La cornice, o forse il vero e proprio quadro, è la gioia dei tifosi per la “liberazione” che aspettavano da fin troppo tempo: sono pronti ad accogliere a braccia aperte Frank De Bœr, stratega olandese di cui i quotidiani hanno parlato più in questi ultimi giorni che in tutta la sua carriera da allenatore, improvvisamente eretto a genio del calcio –parliamoci chiaro: quante partite abbiamo visto dello spumeggiante Ajax?-. Ma ci sono motivi concreti per versare champagne e festeggiare?
Quello che è certo è che si deve salutare il Mancio con grande riconoscenza e onore. È arrivato, disposto a sporcarsi le mani, da innamorato, e questo è insindacabile oltre che rarissimo; ma soprattutto ha raccolto una squadra tra le macerie, vittima di obbrobri tattici mazzarriani e rappresentata da personaggi del calibro di Kuzmanovic e Campagnaro. Titolari. Ecco, non dimentichiamoci che in un anno e mezzo, solo grazie all’appeal del tecnico jesino, c’è stata una trasformazione più che radicale. A partire da Miranda, ad oggi glorificato. Magari non sarà stata libidine, ma è sicuramente più piacevole vedere sulle fasce Perisic e Candreva (ancora una volta arrivati grazie alle pressioni di Mancini), rispetto a Jonathan e Alvaro Pereira. Ma questo non sembra contare. Non si può trascurare anche l’altra faccia della medaglia: alcuni acquisti non mirati e spesso poco gioco e pochissimi schemi. Tutto ciò va però contestualizzato, ricordandoci le parole realistiche di Thohir e di Suning stessi: “Il progetto è a lungo termine e Mancini è l’uomo giusto per la rinascita“. È passata invece una sola stagione e il tecnico è stato frettolosamente liquidato e sfiduciato, senza un secondo anno di possibilità, di perfezionamento dello scheletro messo su nel primo e unico anno a disposizione (dopo il secondo anno si potrebbero sul serio iniziare a tirare le somme).
Nulla di tutto ciò. Il popolo rabbioso ha additato il solo colpevole della mancata partenza in quarta, esigendo la pubblica esecuzione; tutti indignati per la sconfitta d’agosto 6-1 contro gli Spurs: nel frattempo il Barcellona ha perso 4-0 contro il Liverpool, ma lì c’è il dogma dell’intangibilità di Luis Enrique e quindi ce ne stiamo tutti in silenzio a dire che in fondo il calcio estivo non vale nulla. E a due settimane dall’inizio del campionato arriva un uomo che non conosce minimamente il calcio italiano -né tantomeno le intenzioni e le strategie societarie prefissate- e che avrà pochissimo tempo per le sue legittime richieste di mercato. Sperando che sia arrivato un mago che in un anno porterà l’Inter sul tetto del mondo, io ti saluto con un enorme grazie, Mancio. È il minimo.