Lo ammetto: non conoscevo Ezio Bosso prima della sua performance sanremese. D’altronde non si può conoscere tutto, e di cose da conoscere ce ne sono e ce ne saranno sempre. Di cose e di persone. E forse queste ultime, al di là delle trite e ritrite crisi di valori che viviamo o riteniamo di vivere, restano quelle che più possono farti apprezzare il mondo che ti circonda.
È questo che è passato nella testa di chi ha potuto ascoltare mercoledì sera le note del maestro piemontese, sia quelle toccate sui tasti, sia quelle che toccano il cuore. L’artista, nonostante le mie mancanze, è di caratura mondiale: classe 1971, ragazzo prodigio, una carriera iniziata nel pop con gli Statuto e proseguita nel mondo della musica classica, con collaborazioni con i più grandi teatri e i migliori artisti del globo.
Ma oltre l’artista, non è retorica, c’è l’uomo. Va detto, non per la malattia, o come la chiama Bosso “l’incidente”. Ma su questa una parentesi va aperta: innanzitutto per fare i complimenti a Carlo Conti, presentatore e coprotagonista di un Festival in cui a farla da padrona è la musica. Musica talmente tanto protagonista da andare oltre la forma di SLA che affligge Ezio Bosso, da farla passare in secondo piano. Parte del merito, va detto, è proprio di Conti, che è riuscito a portare la disabilità sul palco e normalizzarla con leggerezza, serietà e dignità. Ma la parentesi ha ragion d’essere soprattutto perché è stata la malattia a far entrare Bosso nella sua dodicesima stanza, che di quelle che tutti attraversiamo nella nostra vita è sì l’ultima, ma anche la prima. “Era buia”, ha raccontato l’artista torinese a Vanity Fair. “Per il solo fatto di esserci entrato, ho disimparato tutto: a parlare, camminare, suonare. E poi ho imparato tutto di nuovo. È come se fossi rinato. È stato sulla sua soglia che hanno cominciato a sbocciare delle cose, a cadere delle reti. Ho deciso, per la prima volta, di incidere un disco, ho trovato il coraggio di fare il primo tour da solo, senza altri: se sbaglio è colpa mia”.
È qui il segreto della grandezza dell’uomo Bosso, sradicata dalla malattia. Bosso ha qualcosa da insegnarci per come è arrivato a percorrere l’ultima stanza, per come ha percorso le altre undici. La sua consapevolezza di essere umano ed essere artista nasce e vive nella musica, che è magia perché ci sono maghi come lui pronti a insegnarci che le note non sono che il mezzo con cui essa si fa metafora della vita stessa. La musica cambia, come le storie; e come queste ultime racconta qualcosa solo a chi impara ad ascoltarla. Dal palco dell’Ariston la musica ha regalato a tutti noi la possibilità di ascoltare Ezio Bosso, ascoltarne musica e parole. “La musica”, ci ha spiegato l’artista, “è come la vita, si può fare in un solo modo: insieme”.
E oggi ci sentiamo tutti più ricchi e più piccoli, con lo sguardo come il suo, perso nell’estasi a inseguire i nostri sogni.
@AlessandroPat