La rabbia degli elettori piddini per la scelta di Marini come candidato “condiviso” al Quirinale è comprensibile: in un momento in cui la “gente” chiede a gran voce “cambiamento”, l’opzione di Bersani appare intrisa di tatticismo e di politichese, per giunta con tanto di strizzata d’occhio a Berlusconi. Quello che è più difficile da capire è come, di punto in bianco, il sogno bagnato delle italiche genti progressiste, dai raffinati analisti del ceto medio riflessivo alle masse arrabbiate dell’antipolitica, sia diventato Stefano Rodotà. Ha scritto su Twitter la politologa Sofia Ventura: “A me Rodotà sta simpatico e lo stimo (anche se non necessariamente sono d’accordo con lui) ma mi sfugge cosa lo sta trasformando in un’icona pop”. Esatto, un’icona pop. Il fico del momento è Rodotà, vien quasi voglia di domandarsi come abbiamo vissuto per anni senza un Rodotà che ci illuminasse il cammino.
Sarà perché è contro la casta, perché rappresenta un nome della società civile contro le logiche d’apparato… Già, infatti è entrato in politica nel 1979 e ha accumulato incarichi, poltrone e collaborazioni bastevoli per tre vite. Tre vite niente male, peraltro. Il suo ultimo incarico noto è quello di Garante per la privacy. Un ruolo, come è noto, impermeabile ai condizionamenti politici e alle lottizzazioni, indispensabile alla vita di ognuno di noi e ovviamente retribuito con il minimo sindacale. Chi volesse saperne di più può guardarsi la puntata di Report dedicata proprio ai Garanti. Sì, Report. Quello della Gabanelli. La prima classificata dei grillini nella classifica che al terzo posto vede proprio l’ex Garante Rodotà…
Ma quel che più colpisce è l’aspetto ideologico della vicenda. Rodotà, infatti, rappresenta quel moralismo orwelliano deciso a mettere il becco negli aspetti più disparati della vita individuale che per la sua carica intrinsecamente reazionaria fino a qualche anno fa avrebbe incontrato le maggiori resistenze proprio a sinistra. Tra poco, invece, rischiamo di trovarcelo sulle magliette rosse dei fuorisede ubriachi di Tavernello al concertone del primo maggio. Così, senza un perché.