Un fascino brutalmente dirompente attraversa i secoli per divenire, dannunzianamente sparlando, un’opera d’arte. Rievocazioni raccolte nelle Memorie – Mémoires écrits par Lui-Même e Histoire de ma vie – dove l’avventuriero più noto del ‘700, scrive per sottrarsi a un presente vuoto e rivivere un passato epico. Studiato, amato, detestato, riecheggiato, invidiato e compatito, figura come l’immagine più celebre e rappresentativa di un uomo: Giacomo Casanova. Un orgoglioso gaudente che scrive come atto ultimo e necessario: tornare alla vita e salutarla. Disinvolto nel racconto, non tenta l’abbellimento estetico, non domanda assoluzione morale: offre se stesso senza eroismi e decorazioni.
Le “Mémoires” e l’”Histoire de ma vie” ritraggono un’esperienza non tanto letteraria, quanto umana: la vita si mette al servizio della scrittura. Tale l’attraversamento dell’assenza di moralità come affermazione di una personalità, affrancata da vincoli: il solo imperativo è assecondare esclusivamente la voce dell’impeto. La scorrettezza verso il prossimo, diviene in Casanova, l’onestà verso se stesso. Respinta è qualsiasi ambizione alla condizione di eroe e al conseguente riconoscimento umano. Un talento epicureo che fagocita indifferentemente donne, azzardo e città. Cavalca freneticamente l’istante, alla maniera di colui che non prevede l’esistenza di un tempo altro dal presente. Un uomo edificato sulle fondamenta di un vuoto tutto da colmare, per tramite di altri esseri umani. Salottiero e spietato, impermeabile alla compassione, figura come il maschile più rappresentativo della sua epoca. Immagine e nome viaggiano nel tempo, giungono alla contemporaneità e si fanno emblema di un certo voluttuoso vivere.
Dalla lettura dei suoi scritti emerge un uomo che riserva agli altri l’apparenza: probo con se stesso, baro con il prossimo. Si pone all’ascolto della sua natura come l’unica guida fedele. Un potente richiamo ancestrale lo porta lontano da radici e legami. Non esiste alcun essere umano capace di trattenerlo in qualcosa; anche l’amore, all’apparenza più travolgente, esercita minor presa di un’avventura improvvisa. Giacomo Casanova è la disintegrazione di ogni vincolo, la più arcaica lotta ai retaggi, il denudarsi di un individuo che diviene esclusivamente la sua essenza. Non prospera in lui alcuna morale, neppure nella forma più leggera della nostalgia. Gabbare per non esser gabbato, gioca con la vita come con le carte, rischiando sapendo di ardire, non votandosi ad alcun paradiso. Non intraprende il percorso della profondità, segue il richiamo del capriccio e l’appagamento immediato.
Se da un lato il mariuolo veneziano si costituisce come l’essenza ultima dell’uomo nel nome del piacere, dall’altro è sostanza di un’assenza, creatura abitata dal vuoto che lo legittima rendendolo mito. L’atto del colmare alimenta l’abisso: un circolo vizioso ripiega sul suo medesimo adrenalinico meccanismo. Oltre il non trascurabile dettaglio storico, in tale zona si inserisce la più importante discrepanza con il don Giovanni. Casanova nel regalare piacere, porta la consapevolezza della voluttà al mondo femminile: dona e prende senza razziare. Don Giovanni accatasta conquiste sulla spinta di un odio, saccheggia e ferisce, sapendo di farlo.
Il Casanova di Federico Fellini
Nella cinematografia, si deve a Federico Fellini il ritratto definitivo e monumentale del seduttore veneziano. “Il Casanova di Federico Fellini”, pellicola del 1976, interamente girata all’interno del teatro 5 di Cinecittà, descrive un’epoca attraverso una meravigliosa e inquietante galleria di quadri in movimento. Il film è claustrofobico, introspettivo e visivamente galvanizzante. Il regista non ama il personaggio. L’attore, un maestoso Donald Sutherland, patisce la parte. La critica dell’epoca boccia il film in maniera decisiva. Gli scritti di Casanova, sono per Fellini solo uno spunto per mettere in scena una figura colossale. Una forma puramente junghiana che al microscopio del regista, presenta una voragine priva di anima, l’immagine più vicina alla marionetta. Fellini intriso di psicologia analitica, ma anche di un accentuato senso religioso, non nasconde il fastidio per l’avventuriero e sembra adoperarlo per opera di condanna di tutte le pulsioni umane.
La pellicola, mediante un cinema pittorico, esibisce impietosa tutti i mali di un uomo incapace di sentire. Nella lettura junghiana/felliniana, Casanova non si fa mai uomo poiché impossibilitato a lasciare l’unica radice della sua vita: l’imago materna. L’ammaliatore settecentesco è dunque una creatura infantile, vive e agisce come un bambino imprigionato nell’ambiente dell’infanzia: il grembo materno. L’incedere nel film, mostra un’assidua ricerca di gratificazione emotiva, proprio alla maniera di un fanciullo che domanda attenzione ai propri genitori. In questa prospettiva Casanova è un essere metafisico, alla ricerca della propria completezza. Gli stessi rapporti sessuali si consumano nella totale indifferenza, in una sorta di rituale danza meccanica, accompagnata dal totem/carillon che suona le note di Nino Rota.
Il Casanova felliniano è dunque forma che trova la vita in una dimensione altra, quella metafisica della “Uber-Marionette”. Tali sono anche gli abitanti della corte di Wurtenberg, il luogo spettrale dove incontra la “Uber-Marionette” Rosalba, la bambola meccanica. L’incontro di due eleganti fantocci, figura il momento più romantico del film: il ritrovo di due esseri autorizzati ad amare solo in una dimensione sovrumana. L’amore appartiene a mondi altri: si afferma nella sua impossibilità. Casanova ama un’immagine artificiale all’interno di un cosmo inesistente. Tutto il film è teso a sottolineare i due piani: il reale ricostruito con minuzioso artificio e il sogno che transita dal regista al personaggio per giungere allo spettatore.
La storia e le memorie figurano come una sorta di mitobiografia. Il libertino è mito prima di finire sulla pagina: l’inchiostro conferisce eternità alla figura. Nel castello di Dux in Boemia, la scrittura è bisogno primario, antidoto alla fine ineluttabile della carne. In totale assenza di spirito, attingere al ricordo è forma vitale. Federico Fellini, sebbene in dichiarata idiosincrasia, omaggia il libertino con una pellicola tesa a suscitare, al pari dell’opera scritta, sentimenti contrastanti. Mediante una rivisitazione libera, trascina lo spettatore in un altrove ricco di contraddizioni dove l’angoscia si unisce alla tenerezza, l’eros al funereo e il sogno alla realtà. Giacomo Casanova è il fuoco fatuo che non smette di bruciare. Oltrepassa le epoche come un glorioso antieroe del ‘700.