Non concediamo un orecchio distratto a Basho (1644 – 1694), che è stato uno dei maggiori poeti giapponesi. Nei suoi versi ritroviamo eleganza e semplicità. Nel Piccolo manoscritto nella bisaccia (edizioni SE, 2006) annota impressioni sui luoghi, sugli incontri, sulla natura e brevi poesie ispirate dal viaggio (a cavallo e a piedi) intrapreso nell’autunno del 1867 e durato sei mesi. All’inizio del viaggio descrive così il suo stato d’animo:
“il cielo era incerto e io mi sentivo privo di meta come una foglia in balia del vento.
Pellegrino / vorrei fosse il mio nome / alle prime piogge d’autunno.”
Basho viene definito “poeta del viaggio”. Non solo perché i suoi viaggi nel Giappone feudale furono numerosi e spesso in condizioni assai dure e difficili, ma anche perché gran parte delle sue opere sono diari di viaggio. Appunti sulle cose viste e pensate e insieme testimonianza del suo cammino spirituale. Emozioni ed elementi del paesaggio si fondono nelle diciassette sillabe degli haiku:
“giorno d’inverno/ persino l’ombra gela/ di me a cavallo”.
La filosofia zen cui aderisce fin da giovane è per lui prassi prima ancora che dottrina. Sopporta stanchezza e privazioni:
“esausto/ nell’ora di trovare alloggio / fiori di glicine”.
La poesia per Basho è seguire docilmente le stagioni, essere in armonia col creato: ”chi non intuisce la bellezza di un fiore in ogni forma è un barbaro. Chi non ha un animo delicato come un fiore è una belva.” Prima della partenza riceve dagli amici e dai discepoli doni che consistono in poesie, vestiti, monete avvolte pudicamente in carta per le sue necessità. La povertà è una scelta di vita. Il poeta non teme di essere derubato perché nulla possiede, non ha ansie e cupidigie, ignora la fretta (questa malattia dei tempi moderni), gusta cibi semplici, è lieto dell’incontro con casuali viandanti con cui conversa e condivide emozioni. Con un discepolo incontrato in primavera si reca ad ammirare i ciliegi in fiore sui monti Yoshino. Il racconto del viaggio termina con l’immagine dei pescatori che lanciano frecce ai corvi che tentano di rubare il pesce e dei papaveri sulla spiaggia di Suma e con la rievocazione di drammatiche vicende svoltesi anticamente in quel paesaggio, in quella baia su cui “indugia una millenaria tristezza.” Il fascino dei suoi versi non è tanto nei suoi versi, ma nell’equazione che avverti tra profondità e semplicità della sua poesia e la sua vita sobria e spiritualmente ricca, potremmo dire all’insegna di una decrescita felice.