«E se non fossero state rosse?». Prego? «Dico, le toghe. Sui genitori di questa cosiddetta Seconda Repubblica, c’è una vulgata che parla di golpe, magistratura politicizzata, toghe rosse, appunto». Invece? «Si comincia a capire che non furono rosse, le toghe. La cena Contrada-Di Pietro, di cui voi del Corriere avete pubblicato le foto, e ciò che avvenne poi, ci può autorizzare a parlare semmai di magistrati deviati».
Nella bella casa in centro, accanto a Palazzo Valentini, Rino Formica non riesce a stare seduto cinque minuti di fila. Soffre di sciatica. Ma la verve polemica di un tempo è intatta. Come il gusto dell’iperbole (suo il copyright di «nani e ballerine», per dire). Come il filo di rasoio delle «erre», arrotate dei suoi ragionamenti «ampi». Come, in effetti, una certa dose di sassolini nelle scarpe. Sugli scaffali, Nenni e Plutarco, Spriano e Acton («Gli ultimi Borboni di Napoli»). Tra i vecchi sodali d’un tempo, quasi solo Cirino Pomicino («ne ammiro l’intelligenza»).
Socialisti L’ex ministro alle Finanze Rino Formica (83 anni) con il segretario psi Bettino Craxi. Secondo Formica, i socialisti non hanno «mai sostenuto che bisognasse fare leggi per salvarsi dai processi». Quanto al premier, «nel ’92 gli importava solo delle tv»
Cosa avvenne, secondo lei, tra l’89 e il ’94?
«Una crisi sistemica, di panico, tra le classi dirigenti nel triennio ’89/’92. Nel caos si inserirono contrastanti agenzie di Paesi alleati ed ex comunisti”.
Alla fine di tutta questa fase vinse Berlusconi
«Appunto. Come può essere una rivoluzione di toghe rosse?».
Ha saltato un passaggio: il Paese non reggeva più il sistema delle tangenti.
«Aspetti, ragioniamo. I soggetti politici si sono moltiplicati nel frattempo: una pluralità di soggetti visibili e identificabili e, spesso, invisibili e sfuggenti».
Siamo ai «misteri d’Italia»?
«Beh, c’è chi non vuole o non può disvelare le sorgenti di un’azione politica, che tanto occulte non sono».
Si spieghi meglio.
«Se si può parlare di servizi deviati, dico io, perché è così indecente parlare di interventi di agenzie estere deviate, lobby sommerse, informazioni manipolate e giustizia mirata?».
Perché bisogna dimostrare quello che si dice, forse.
«Io dico: vediamo questa foto di Contrada e Di Pietro. Al congresso Idv, Di Pietro, con la solita miscela di furbizia e ingenuità, ha detto: chiedete al generale Vitagliano, il padrone di casa… ma quella sera, Contrada era già sospeso dal Sisde».
Di Pietro poteva non saperlo.
«Il problema è un altro. Di Pietro non era il titolare di Mani pulite. Lo era il pool. Quella era la riunione dei carabinieri di supporto alla polizia giudiziaria. Perché non fu investito il pool?».
E le pare sufficiente a sostenere che Di Pietro fu un magistrato «deviato»?
«No. C’è un altro tassello grazie al presidente Cossiga. Due anni fa su Libero, attraverso il suo pseudonimo di Franco Mauri, ha sostenuto che nel ’90-91 l’Fbi venne in Italia per orientare la magistratura contro Andreotti e Craxi, e fece pressioni su un presidente con la K nel cognome. Lui si dimise».
Che la classe politica italiana prendesse tangenti era oggetto di barzellette da anni. C’era bisogno dell’Fbi?
«No, qui sta il vostro errore! Nella Prima Repubblica la politica nobilitò la funzione dello sterco del diavolo come mezzo di raggiungimento di fini politici! Adesso il danaro da mezzo è diventato fine della politica: cioè il rapporto è rovesciato».
Non è colpa anche del lavoro di delegittimazione della magistratura cominciato forse proprio da voi socialisti?
«Nooo! Noi non abbiamo mai sostenuto che bisognasse fare leggi per salvarsi dai processi. Noi abbiamo detto che il nostro sistema aveva deviazioni individuali che andavano punite penalmente e un accomodamento sistemico che andava valutato sul superamento di una soglia».
Larini, Manzi, Troielli, Mach di Palmstein… quanti superarono la soglia, e per conto di chi?
«Lei continua a confondere ciò che è sistemico con ciò che è deviato, non ci capiamo».
Craxi, comunque, scappò.
«Craxi si avvalse del diritto alla resistenza teorizzato anche da alcuni padri costituenti».
Craxi era un uomo dello Stato.
«Io sto a quello che ha detto Napolitano parlando di Craxi: “Durezza senza eguali sulla sua persona…”. E le dico che allora si usarono metodi rivoluzionari senza fini rivoluzionari. Agenti parapolitici internazionali…».
… senta, persino le televisioni di Berlusconi nel ’92 appoggiavano l’inchiesta di Milano.
«Guardi, ho per le mani un libro di Veltri, c’è un’intervista di allora del Cavaliere. Beh, gli importava solo delle tv. Diceva: “Il sistema è crollato e noi siamo più liberi”. Berlusconi era un opportunista».
Lo dice lei. Molti «eredi» politici di Craxi oggi lo adorano.
«Vede, ad agosto ’92 erano usciti già i corsivi di Craxi contro Mani pulite. E ancora a settembre i comunisti, il Pds, facevano la coda dietro la porta di Bettino, perché si discuteva la loro ammissione nell’Internazionale socialista. Io ho ancora una lettera di Fassino in cui si dice: mi raccomando, sosteneteci, cambieranno tutti i rapporti. Al rientro da Berlino, dove Craxi era intervenuto in loro favore, Occhetto fece un intervento di pura aggressione contro di lui. Capisce perché tanti sono andati con Forza Italia? Il… nemico minore».
Dica, dopo tanti anni, la politica è sempre «sangue e merda»?
«Beh, adesso c’è una bella differenza».
Quale?
«Il mix. Non bisogna esagerare con il secondo ingrediente». (da Dagospia)