È in corso a Treviso, presso la Casa dei Carraresi, una mostra dal titolo intrigante: Giappone: dai Samurai a Mazinga. In essa si illustrano alcuni degli aspetti più affascinanti della cultura giapponese, attraverso l’esposizione di oggetti databili tra il XVII e il XX secolo, reperiti in musei e collezioni private italiani. Possiamo dunque ammirare: armi e armature, porcellane, rotoli e paraventi dipinti, lacche, stampe Ukiyo-e dei grandi maestri (Hokusai, Utamaro e Hiroshige), maschere, kimono, sculture in legno e giocattoli. Una interessante opportunità per riflettere sul Giappone antico e moderno. Lo scopo della mostra non è tuttavia quello di mettere a paragone l’arte nipponica classica con quella contemporanea, bensì dare risalto alla continuità culturale che sussiste nell’Arcipelago, sino ad arrivare alle ultime tendenze: spezzoni di cartoni animati (anime) e di film (Akira Kurosawa), nonché immagini fotografiche (Nobuyoshi Araki).
Il Giappone nell’immaginario globale
È ben noto ormai come negli ultimi trenta anni il Giappone sia entrato nell’immaginario collettivo di tutto il mondo. La cerimonia del tè, l’arte del coltivare i bonsai, la calligrafia, l’eleganza nella disposizione del cibo, sono aspetti della cultura giapponese ben noti anche in Italia. A dire il vero, la fascinazione per questo particolare Paese ha entusiasmato gli occidentali sin dell’Ottocento, soprattutto gli artisti dell’impressionismo, con personaggi quali Degas, Monet e Van Gogh, rapiti dalle colorate immagini delle stampe dell’Ukiyo-e, già all’epoca ampiamente diffuse nel Vecchio Continente.
L’elemento classico nella tradizione delle terme
Quello che però spesso gli appassionati della cultura del Sol Levante ignorano è che essa deriva nella quasi sua interezza da quella della Cina antica: nella pittura, nel teatro, nell’architettura… Al punto che, tra quegli orientalisti in possesso di una sana visione critica e non fanatica del Giappone, e dei quali noi facciamo parte, gira il seguente detto: l’unico elemento classico autenticamente nipponico si trova nella tradizione delle terme (Onsen). Va comunque detto che nulla rimane uguale quando entra in contatto con la cultura di questo paese, qualsiasi cosa non viene banalmente copia – come fanno invece i cinesi oggi con l’Occidente – bensì “giapponesizzata”; non per niente alcuni studiosi definiscono quella dell’Arcipelago una “cultura mista” (konsei bunka), cioè non passiva ricettrice delle mode e dei costumi stranieri, ma capace per converso di rielaborare qualsiasi elemento culturale, dalla religione, alla letteratura, per adattarlo alle proprie esigenze.
La statua di Kannon
Dal Giappone, sin dalla seconda metà del XIX secolo, sono giunte opere d’arte, ma anche innumerevoli chincaglierie, esotici bibelot per arredare i salotti di aristocratici e ricchi. La mostra in questione offre entrambi questi aspetti, con ninnoli vari e oggetti comuni, ma anche autentici capolavori, come la statua di Kannon (prima metà del XIV secolo) in legno e rame dorati, autentico vanto del Museo d’Arte Orientale di Torino, che possiede forse il più importante statuario giapponese d’Occidente. Una altra chicca sono i modellini di portantine. Il tutto non è casuale, giacché un grande merito dei curatori è stato quello di tirare fuori dall’anonimato la collezione giapponese del Museo Universitario di Antropologia di Padova, una raccolta nata come “costola” del celeberrimo Museo Orientale di Venezia, il quale ha il suo pezzo forte proprio in una portantina, stavolta vera, del XVIII secolo, un oggetto rarissimo persino in Giappone.
La sezione fotografia
Assai stimolante è anche la sezione dedicata alla fotografia, con i soggetti tipici della cosiddetta Scuola di Yokohama, dove si riprendono i temi principali della pittura e della stampa xilografica giapponesi dell’era Edo. Esiste una chiara vicinanza tra la visione fotografica di questa scuola e il genere delle cosiddette “vedute”, raffiguranti paesaggi e luoghi celebri (Meisho-e). Cogliamo l’occasione per celebrare uno dei tanti primati orientali che vanta il nostro Paese, grazie alle sue collezioni asiatiche, ma anche nella divulgazione della conoscenza del Giappone. Sarebbe a dire, che i due più importanti fotografi che hanno accuratamente ritratto la società giapponese durante l’Era Meiji (1868 – 1912) erano per l’appunto italiani: Felice Beato e Adolfo Farsari. Sempre dello stesso periodo sono le pitture a olio di paesaggi giapponesi di Arnold Henry Savage Landor, artista fiorentino, ma di origine britannica.
Il legame tra robot giapponesi e la figura del samurai
Alcuni studiosi potrebbero, comprensibilmente, storcere il naso nel trovarsi improvvisamente davanti a una montagna di giocattoli giapponesi. Ciononostante, questa mostra più che per gli addetti ai lavori, è stata pensata come una specie di Wunderkammer per gli appassionati, atta a risvegliare quella antica fascinazione verso l’Oriente, oggi un tantino schiacciata da una visione fin troppo cinica e disincantata dell’Asia in generale. In aggiunta, esiste un legame abbastanza diretto tra i robot giocattolo prodotti in Giappone nel Secondo Dopoguerra e la figura dei samurai, con le loro splendide armi e armature. Se in questa occasione si è voluto – come sembra abbastanza chiaro – mettere in mostra un po’ tutto di quello che gli abitanti del paese del Sol Levante sono stati capaci di creare grazie al loro ingegno, allora anche i giocattoli ci possono stare, perché no! Poi, forse non molti sanno che in Giappone esiste una antica arte nel creare degli automi, sofisticate bambole meccanizzate chiamate karakuri ningyō. In mostra possiamo perciò ammirare delle belle collezioni di giocattoli nipponici, come quella Modina, una delle più importanti a livello internazionale; tanto che ci viene in mente una idea affascinante: in Italia ci sono le maggiori raccolte di giocattoli al mondo, perlopiù in musei privati, allora perché non crearne anche uno sul giocattolo giapponese?
Quando si parla di modellini di robot e astronavi, il collegamento col cinema di animazione è scontato. Infatti, in questa esposizione ci si ricorda di un anime ormai entrato nel mito, ovvero il primo cartone prodotto per la televisione giapponese nel 1963: Tetsuwan Atom, del grande Osamu Tezuka, successivamente esportato in tutto il mondo con il nome di Astro Boy. Sono giustamente qui ricordati i manga e gli anime, poiché da quando li abbiamo conosciuti e apprezzati in Occidente, i fumetti della Bonelli e della Marvel, come i cartoni di Hanna & Barbera e Walt Disney, ci sono subito sembrati un po’ fasulli e alla fine qualitativamente non così buoni. È importante, come nel caso di questa mostra, riflettere su quanto la cultura pop nipponica abbia cambiato il nostro immaginario, quello che dal punto di vista critico si chiama sense of wonder.
Le collezioni orientali nei depositi dei musei
In conclusione, Giappone: dai Samurai a Mazinga può sembrare per i palati orientalistici più sofisticati un grande e suggestivo bazar dal taglio esotico, e in buona parte è così. Purtuttavia, questa mostra ha per noi due elementi di grande interesse. Il primo sta nel fatto che la varietà tipologica degli oggetti esposti ci conferma, se qualcuno ne avesse ancora bisogno, la grandezza della cultura giapponese. Il secondo, e persino più importante, riguarda il fatto che dovremmo essere meno esterofili e capire che le collezioni orientali, pubbliche e private, italiane sono le più ricche d’Occidente; solamente che non lo sappiamo, visto che non le conosciamo e molte sono sciaguratamente obliate nei depositi dei musei, ma comunque esistono e sono sontuose!