Qualcuno potrebbe chiamarla vittoria, magari scomodando il paragone “sangue contro oro”, altri giustizia, altri ancora semplicemente buonsenso. Magari a Cardiff staranno ancora decidendo come etichettare questo stato di contentezza, fatto sta che la loro squadra è tornata a vestire la casacca blu,aggiungendo un capitolo a quel tipo di storie in cui il cuore e la tradizione ogni tanto sconfiggono il freddo business.
Un anno fa, di questi tempi, raccontavamo la storia dell’Hull City, del tentativo di rename in Hull Tigers per venire incontro ai mercati esteri e vendere meglio il marchio, e del rigetto della Football Association inglese che ha fatto felici i tifosi ed infuriare il padre-padrone Allam. A distanza di un anno, raccontiamo di un’altra storia andata a buon fine.
O almeno a buon fine per chi, come noi che scriviamo e voi che ci seguite, guarda il calcio, le sue storie e le sue tradizioni con gli occhi di eterni ragazzi innamorati. Questa volta andiamo a Cardiff. La situazione sarebbe riassumibile in una vignetta pubblicata all’inizio di questa vicenda, il 2012, dal mensile calcistico inglese FourFourTwo, in cui padre e figlio andavano insieme allo stadio a seguire la medesima passione, il primo con una sciarpa blu e il secondo con una sciarpa rossa. Non torna qualcosa, e vi spieghiamo perché.
La squadra gallese che ora calca i campi della Championship, la serie B inglese (è una delle 4 squadre delle valli a partecipare ai campionati di sua Maestà), nel 2010 è stata salvata da un possibile fallimento dal tycoon malese Vincent Tan Chee Yioun, che dal baratro addirittura l’ha portata in Premier League. Però, come tanti proprietari ricchi e con poca dimestichezza del mondo del calcio, per cui una squadra più o meno vale l’altra, Vincent Tan ha cominciato a fare i capricci e a tentare di imporre la propria legge, facendo valere motivazioni che con il mondo del calcio non hanno niente a che vedere. Come? Cercando di plasmare la sua nuova squadra a suo piacimento, pensando a quanti soldi potesse fruttare l’affare, e fregandosene altamente della storia secolare del club e di quei fessacchiotti che per anni gli sono andati dietro. Così, da questa visione del calcio, due anni fa ne è scaturito il rebrand del Cardiff City Football Club.
La maglia blu, adottata nel 1908 dalla squadra della capitale gallese, veniva declassata a seconda maglia per far spazio alla casacca rossa, poiché nella cultura asiatica il rosso è un colore di buon auspicio al contrario del blu colore funereo. Non contento, Tan aveva deciso anche la modifica del simbolo, riducendo in piccolo lo storico bluebird per farci campeggiare prepotente il drago rosso, simbolo del Galles che in Asia ha anche un forte significato spirituale nonché simbolo di forza. Nelle intenzioni spacciate dalla dirigenza, con in sottofondo un rumore di chi si sta arrampicando sugli specchi, una volontà di continuità tra Asia e Galles e l’ambizione di rappresentare il calcio delle valli nel mondo.
Un po’ come se in Italia arrivasse un magnate a comprare la Fiorentina e decidesse di cambiare il viola perché porta sfiga, o d’un tratto il Napoli giocasse con le maglie giallorosse perché è il colore del gonfalone della città e richiama anche ai Borbone. (In realtà in Italia un caso analogo lo abbiamo tutt’ora, con i tifosi della Roma che da due anni invocano con forza il ritorno allo stemma ASR al posto di quello attuale Roma 1927, considerato dalla nuova proprietà americana poco identificativo della squadra e della città nel mondo e quindi modificato per vendere meglio il marchio).
La decisione ha, inevitabilmente, fatto infuriare i tifosi del Cardiff, offesi dal sacrificio della storia e delle tradizioni del club sull’altare del business, ma anche i rivali dello Swansea che hanno visto nella scelta di Tan il tentativo di appropriarsi dei simboli e dei colori nazionali per proporsi come i legittimi rappresentanti del calcio gallese nel mondo. I quali, faticando anche a riconoscere i loro rivali di sempre, li sbeffeggiavano cantando loro “who are you, reds?” e voi rossi chi siete?
Così Tim Harley, capo del Supporters’ Trust del Cardiff (un organismo che Oltremanica ha una sua importanza, come se fosse una sorta di sindacato dei tifosi), all’epoca, pur ringraziando la proprietà per aver stabilizzato la situazione economica, aver ripianato i debiti e aver mostrato progettualità e una grande volontà di investire nel club, si era dichiarato contrario allo stravolgimento dell’identità stessa del club, e con lui la stragrande maggioranza dei tifosi che si sono mobilitati in maniera imponente con sit-in, striscioni, manifestazioni. Tanto da scomodare anche i piani alti al governo, come il Ministro Lewis il quale consigliò caldamente di tenere conto del parere dei tifosi su questo tipo di cambiamenti, poiché sono loro la vera linfa vitale, specificando subito quanto non fosse in alcun modo compito del governo sindacare sulle scelte di un club e non volendo mettere in alcun modo il bastone tra le ruote a nessun investitore straniero.
Tra le varie iniziative, la scorsa estate i tifosi dei bluebirds ne hanno adottata una particolarmente emblematica, rispondendo al linguaggio del facoltoso tycoon malese che sarebbe il profitto : dal Supporters’ Trust e da altre associazioni di tifosi, è pervenuto alla società un ordine di quasi mille magliette, rigorosamente maglie blu, mostrando che la tradizione e il marketing possono tranquillamente coesistere. Iniziativa intelligente, contro le assurde decisioni del magnate che aveva pensato anche al cambio nome del club in Cardiff Dragons (proprio come voleva essere Hull Tigers), come se fosse un qualunque club di football o baseball americano, con tutto il rispetto. Era tornato sui suoi passi dopo la rabbiosa reazione dei tifosi e della stampa gallese (storico il secco “NO!” a caratteri cubitali apparso sulla prima pagina sportiva del quotidiano South Wales Echo).
All’inizio dell’anno nuovo la notizia che i tifosi del Cardiff attendevano da tempo: la squadra ritorna a vestire la maglia blu, mentre quella rossa sarà destinata alle trasferte. Il simbolo però, per il momento, non cambia. Si dice che Tan sia tornato sui suoi passi dopo un consulto con la mamma, preoccupata per lui. Più probabilmente perché a dicembre, dopo anni, il club aveva aperto ad una tavola rotonda con i tifosi, evidentemente risultata fruttuosa. La Football Association ha dato il suo assenso, e così dalla gara interna contro il Fulham, il Cardiff City Football Club è tornato a vestire la sua divisa tradizionale nel blu dello stadio, al grido festante di “red is dead”. Per la cronaca, i gallesi hanno battuto 1-0 i cottagers, guadagnando tre punti preziosi per avvicinarsi alla zona playoff. A quanto pare, il blu ha portato bene, a dispetto delle fissazioni di Tan.