Fosse il solito sfottò, passi. La verità è che il signor Martin Samuel, “sportswriter of the year” del Daily Mail, ha ragione. La Serie A è diventata l’ospizio delle ex stelle della Premier League. E se è per questo, pure della Superlig turca e del campionato cinese. Ed è normale gigioneggiare anche se, al netto di roboanti ricostruzioni giornalistiche ad uso clic, non c’è proprio di che offendersi nelle riflessioni della stampa inglese. I fatti sono quelli, incontrovertibili e decisivi. Ma un tifoso dell’Inter, un Bauscia abituato a Ronaldo, Bobo Vieri e Zlatan Ibrahimovic, si può davvero esaltare per l’arrivo alla Pinetina di Nonno Lukas Podolski, uno che il Mondiale l’ha vinto guardandolo dalla panchina, uno che all’Arsenal non trova spazio manco a pagarne?
Chi si offende, recita un vecchio proverbio meridionale, è fetente. Il signor Samuel ci fa notare come vent’anni fa il mitico Ruud Gullit, dopo le prodezze milaniste e sampdoriane, scelse di svernare in Premier – addirittura al Chelsea! – per finire, tra gli infortuni, la sua gloriosissima carriera. Allo stesso tempo ci dice che oggi gli scarti, i naufraghi, le anime in pena preferiscono abbandonare i campi di tutta l’Inghilterra per trascorrere un dolcissimo buen ritiro nel campionato italiano. E fa i nomi, mister Samuel, mica s’inventa niente. Ashley Cole alla Roma, per esempio. Il terrifico Nemanja Vidic, sempre all’Inter. E pensare che quando Massimo Moratti, appena arrivato al timone della Beneamata, sbolognò il moribondo Dennis Bergkamp all’Arsenal profetizzò che questi non avrebbe segnato nemmanco dieci gol. Divenne un’icona dei Gunners e per anni, ciò, terrorizzò i perfidi commentatori d’Albione: è davvero forte lui o è troppo forte la Serie A?
Adesso che le vacche grasse si sono smagrite manco avessero preso tutte insieme le centinaia di pillolette, pomate e integratori reclamizzati alla tv, l’Italia pallonara è diventata la serie B dell’Europa. Ma punta decisamente alla retrocessione, dato che c’è chi ha iniziato a guardare il campionato turco, quello russo e addirittura quello belga e quello portoghese. Da dove, regolarmente, piovono in Italia fenomeni, campionissimi e giovani di ottime prospettive, vecchie epopee. The show must go on, il calcio è l’irrazionale per antonomasia. E vive di illusioni, suggestioni e, anche, delusioni. Ma le ultime portano mancati incassi, le prime mantengono a galla i bilanci. E perciò contrabbandiamo il buon Morata per il nuovo Van Basten, come ebbe a rimproverare (giustamente) Mundo Deportivo all’ufficio stampa della Juventus. Va bene tutto, ma i tifosi son davvero così gonzi?
I nomi che circolano nel 2015 sono sempre gli stessi. Basterebbe prendere una copia di un qualsiasi giornale sportivo dell’estate 2014 per ritrovarseli lì, i campioni più o meno noti, più o meno giovani, più o meno adatti alle squadre in cui dovrebbero far sfracelli. Tutti, ottimamente rappresentati da stuoli di procuratori più potenti di quanto lo fossero mai stati i capitani delle compagnie di ventura all’alba del Rinascimento italiano. Mino Raiola dalla Bande Nere, il sergente Mendes from Portugal: sventurato il popolo che ha bisogno di eroi, maledetto il popolo che baratta la poesia del rettangolo verde con la contabilità dei bilanci delle società.
“Italy’s relationship with English football has reversed. Real Madrid, Barcelona and Bayern Munich may be the might of Europe right now — but we forget how it once was for English clubs and how much has changed for us to even aspire to their level”. Chiaro?