
L’analisi di Sofo coglie alcuni aspetti importanti degli orientamenti dell’elettorato identitario, ma tira conclusioni decisamente sommarie e affrettate.
Se la Lega con in testa Salvini pensa di mettersi a capo di un fronte nazionalista dovrebbe con chiarezza andare a rivedere il primo punto del suo statuto, in cui pone come sua ragione fondante “l’indipendenza della Padania”.
Vivo e milito da sempre nella Destra italiana a Piacenza, a un tiro di schioppo da Milano, e mentirei se negassi di essere stato tentato di presenziare alla manifestazione del 18 ottobre contro l’immigrazione clandestina, poiché per ragioni logistiche mi era impossibile raggiungere quella che Fratelli d’Italia svolgeva in contemporanea a a Reggio Calabria (tutt’altro che un funerale, peraltro). Il mio sesto senso mi ha fatto però rimanere a casa, immaginando che avrei masticato amaro nel vedere certe “carnevalate” anti-italiane.
Si può provare ad essere indulgenti derubricando lo striscione “Italia di merda” o i cori anti-nazionali alla bravata di qualche grezzo militante valligiano non ancora aggiornato al nuovo verbo salviniano, ma l’indulgenza finisce nel vedere tutti i Consiglieri regionali lombardi della Lega uscire dall’aula mentre risuona l’Inno di Mameli o lo stesso Salvini inneggiare all’indipendenza del Veneto .
Ché poi non si capisce.. si vuole l’indipendenza della Padania o del Veneto? Ma poi il Veneto non era mica parte fondante della mitica macroregione del Nord? Se si stacca chi la fa la macroregione?
Può apparire patriottismo retrò (paradossalmente, proprio i vent’anni di propaganda leghista hanno reso talmente poco credibile la secessione che nessuno la reputa un pericolo reale) ma invece è il nodo della questione: un progetto di riscatto della sovranità nazionale non può prescindere dall’affermare con chiarezza i confini della Nazione che si vuole difendere (l’Italia o la Padania?) né dal riconoscersi nei suoi simboli unificanti, avendo anche il coraggio di spiegarlo alla propria base e di perdersi qualche duro e puro. Lisciare il pelo ai secessionisti pretendendo di fare incetta di voti “di destra” è una furbizia che può forse pagare nel breve ma alla lunga non regge.
In secondo luogo, pur riconoscendo le capacità di comunicatore di Salvini, pare che il primo a non volere lanciare il cuore oltre l’ostacolo sia proprio lui: un’alternativa credibile, un cartello elettorale forte e senza ambiguità verso l’elettorato “di destra” non può fare marcia indietro ad ogni scampanellata del padre-padrone del centrodestra Silvio Berlusconi.
E’ successo in Piemonte solo pochi mesi fa, dove Fratelli d’Italia – Alleanza Nazionale ha scelto coraggiosamente di correre da solo, per dimostrare che non ci interessa un centrodestra che gioca per perdere, conseguendo un risultato tutt’altro che trascurabile, proprio nel cuore del Nord.
I nostri dirigenti hanno lanciato la stessa sfida a Salvini anche per le elezioni regionali dell’Emilia Romagna, ma ancora una volta il leader maximo della Lega ha scelto di stare sotto l’ala protettrice del Cavaliere. Certo, nell’immediato si guadagna qualche voto in più con l’effetto trascinamento del proprio candidato presidente, l’ospitata costante sulle reti Mediaset e persino un appuntamento con Putin, ma in prospettiva non si costruisce quel polo identitario che a parole si dice di voler costruire.
Inoltre, pensare di liquidare un complesso percorso di convergenza politica con un ragionamento semplicistico del tipo “voi vi occupate del centro-sud e noi del nord, ma comandiamo noi perché abbiamo più voti” non porta da nessuna parte.
Fratelli d’Italia esprime nel nord una fitta rete composta da centinaia di amministratori locali (tra cui mi onoro di essere anche io), e se qualcuno pensa di avere “la botte piena e la moglie ubriaca”, facendo man bassa dei nostri voti al nord in cambio di accordicchi sulle comunali di Roma, si sbaglia di grosso.
La qualità della nostra classe dirigente sopra la linea gotica è tranquillamente misurabile con la valanga di preferenze che i nostri uomini prendono ovunque si presentino, cosa non sempre vera per i candidati della Lega, che in questa congiuntura politica godono del traino di un leader indubbiamente carismatico, ma che non può pensare di incarnare da solo un grande progetto di ricostruzione nazionale. E, del resto, la ragione sociale di Fratelli d’Italia non verrà meno, al sud come nord, fino a quando Salvini non deciderà di sciogliere questi nodi.
In ultimo, trovo grottesche le critiche anagrafiche sui colonnelli ex-AN, assodato che in Lega, accanto a Salvini e al suo gruppo dirigente, possiamo ammirare ancora uomini “intramontabili” come Roberto Calderoli, che guida il valzer delle riforme al Senato strizzando l’occhio al Pd, o di cavalli di razza della prima ora come Roberto Maroni, che il gruppo dirigente salviniano mal sopporta per gli eccessi di tatticismo democristiano.
Messe in chiaro queste cose, è evidente come un percorso di convergenza esista già nelle menti e nei cuori di tanti elettori dei nostri due partiti, ma pensare di realizzarlo a scapito l’uno dell’altro sarebbe sciocco e contro l’interesse dell’Italia, che verrebbe consegnata al renzismo per chissà quanti anni ancora.
Piuttosto, invece di alimentare uno stupido derby a chi è più identitario, proviamo a sciogliere i nodi: quale interesse nazionale vogliamo difendere in Patria come in Europa? Questo polo identitario (o lepenista) vogliamo provare a costruirlo mettendo in discussione oggi il rapporto con Berlusconi, anche a rischio di rimetterci qualche poltrona? Vogliamo ragionare di una nuova forma di Stato che superi l’esperienza fallimentare del regionalismo e fondi un nuovo federalismo municipale?
Le risposte di Giorgia già le conosciamo, quelle di Matteo (anche per noi è quello buono) le aspettiamo con ansia.
Massimiliano Morganti, dirigente di Fratelli d’Italia – Alleanza Nazionale