Il giovane Mussolini e il ‘presentismo’
E’stata prorogata al 28 settembre la mostra in corso a Predappio, “Il giovane Mussolini,1883/1914”. Tuttavia, sul “Corriere della Sera”, il curatore della mostra, Roberto Balzani, approda alla seguente conclusione: il Fascismo è così remoto tanto che Mussolini sembra confondersi con Carlo Magno. Si aggiunga, poi, che i giovani collocano quasi nulla sulla linea del tempo: hanno in testa un tale minestrone per cui gli squadristi sono i garibaldini e la Storia così va a farsi benedire (!). Di recente, sempre sul “Corriere della Sera”, Antonio Carioti (“Gli storici contro la tirannia del presente”- Agosto 2014) intervista Giovanni Sabatucci e Nicola Tranfaglia, i quali sottolineano, rispettivamente, che l’approssimazione storica dilaga e il Fascismo appartiene ad un passato lontano.
Mentre si registra ciò, naturalmente parte la riflessione: dovrebbe essere la critica storica – oggi più che mai – ad operare contro ogni perdita di memoria, contro il ‘presentismo’, cioè contro un presente privo di idealità, incapace di guardare al passato e al futuro. Ma diciamolo con onestà, i giovani non afferrano la Storia in generale: non si orientano sia con il Fascismo… sia con il Comunismo… sia con il Risorgimento, ovverosia con tutti i grandi eventi. I nostri figli sono vittime di un bombardamento quotidiano che confonde ogni evento storico dentro una marmellata giornalistico-televisiva.
E’ facile dichiarare che i ventenni non conoscono Mussolini, lo confondono con Carlo Magno. Di sicuro, la ricerca ha l’obbligo di sollevare il problema della Storia tout-court; quindi è rilevante potenziare le discipline storiche nelle scuole, in quanto, se non si conosce Mussolini, altrettanto sono sconosciuti Togliatti, Matteotti, Croce.., in una contemporaneità priva di bussole critiche.
Il Fascismo e il Web
Il Fascismo è antico?, è archeologico? Ma perché, al contrario, esso è riconosciuto e dibattuto nel Web con attenzione? E sarebbe interessante cercare di distinguerlo, per differenze e identità, all’interno della Rete. E’ vero, viene richiamato genericamente, sui network sociali, l’evento Fascismo; ma, in ogni caso, resta espresso come una passione socio-politica, come materia rovente, non “archeologia per le nuove generazioni” (Cfr. Antonio Cariotti, “Corriere della Sera”- Agosto 2014)). Si faccia un esame sui significati del Fascismo nel Web, ma sempre notando una ‘sentimentalità’ popolare diffusa nella Rete; una ‘sentimentalità’ che appartiene al presente, alle sue contraddizioni, anche attraverso richiami al collasso delle istituzioni, all’impoverimento del ceto-medio nel 1919 come nel 2014. L’insegnamento della Storia oggi dovrebbe verificarsi con la consapevolezza di reagire alla rimozione delle passioni storiche, a meno che si tenti, ancora una volta, la rimozione colpevole della Storia nazionale non di sinistra.
Oltre una storiografia politica
Per alimentare il confronto sul Novecento, gli Editori Laterza portano in libreria un saggio, in parte inedito, di Piero Calamandrei, “Il fascismo come regime della menzogna” (pag. 101, euro 16,00). Il saggio si presenta senza un’introduzione che avrebbe potuto meglio approfondire le elaborazioni di Calamandrei scritte tra gli anni quaranta e cinquanta del secolo scorso; il saggio, proposto come una novità, arriva dopo decenni di studi che hanno articolato diversamente la teoria storiografica di un Fascismo “regime della menzogna.”
Approfondiamo una tesi: il Fascismo come un sistema legale ma che porta dentro di sé l’illegalità. Per Calamandrei, questo pensiero è rappresentato dall’immagine per cui il Fascismo è “come un arco su due colonne (…) da una parte la legalità ufficiale, dall’altra l’illegalismo diffuso.” Una tematica di tal genere consente questa riflessione: nei secoli l’Italia costruisce organizzazioni statali complesse a causa della gravità del suo territorio socialmente frammentato; pertanto, cos’è il giolittismo se non un governo con due volti, uno liberale al Nord e un altro illiberale al Sud? Cos’è il primo Stato unitario se non una successione di illegalità al fine di fondere il regno borbonico con quello sabaudo? Pertanto, non appare affidabile storicamente la categoria Stato fascista come un sistema legale e illegale insieme.
Anche per ciò, è constatabile che l’edizione integrale del saggio di Calamandrei riporta indietro il dibattito storiografico, il quale viene ‘ingessato’ nel momento in cui sono poste al centro conclusioni di questo tipo: durante il Fascismo è “messa al bando una grandissima maggioranza di cittadini.” Una grandissima maggioranza di cittadini? Ovvero venti milioni di cittadini?! Ora, scusate per le domande: Ma quanti uomini, senza tessera del Pnf, fanno libera imprenditoria in quegli anni? Quanti intellettuali antifascisti lavorano nelle aziende, nelle case editrici, nelle biblioteche? La risposta: tantissimi e la discussione dunque rimane aperta.
Nel saggio laterziano, inoltre, non pare esatta la tesi per cui le classi lavoratrici avevano “la forza del numero” per difendere lo Stato liberale nel 1924; i dati storici, invece, dimostrano che la maggioranza del paese era piccolo-borghese o impiegatizia e la classe operaia non aveva una definita consistenza politico-sociale per difendere le istituzioni. Non è il momento della polemica storica; ma è tempo di fare i conti con la storia per evidenziare, criticamente, sia il Fascismo enfatizzato nella Rete, sia la storiografica classica, la quale, proposta nel saggio di Calamandrei, salta quel dibattito impegnato a stabilire le parzialità della ricerca storica del secolo scorso. Al contrario, c’è da esaminare lo sforzo degli studiosi che classificano il Novecento, sganciandosi dalla storiografia politica, e ribadiscono l’inattuabilità di ricondurre il Fascismo ad una categoria storica unica; di ciò avrebbe molto da dire Marco Tarchi con il suo “Fascismo. Teorie, interpretazione e modelli” (2003), un buon libro, un buon libro degli Editori Laterza.