Ricorrono in questi giorni i venticinque anni della scomparsa di Gaetano Scirea, indimenticabile campione della Nazionale e della Juventus. Ecco un ricordo del galantuomo azzurro di un nostro lettore.
Ho qui davanti la copertina del Guerin Sportivo di allora: “Addio bandiera”, è il titolo.
Mi sovvengono tanti ricordi.
Mi rivedo dentro l’Heysel, quando il nostro Capitano lesse un messaggio ai tifosi, con la sua pacatezza invitò tutti i presenti a stare calmi: “giochiamo per voi”….
Rivivo la mia commozione quando feci 800 km in giornata per portare un fiore nel piccolo cimitero di Morsasco, dove è sepolto.
Sarebbe doveroso che i tifosi che occupano la curva a lui intitolata, e i divi viziati che di fronte ad essa si esibiscono, ne onorassero sempre la memoria. Con i fatti , non con veloci commemorazioni.
Gaetano era il vero emblema dello stile-Juve.
Tarantini, durissimo difensore campione del mondo con l’Argentina di Menotti, disse: “Per nessun avversario mi sarebbe dispiaciuto così tanto. Era un vero signore, il giocatore più leale che abbia conosciuto.”
Ricordo Perugia, stadio Curi, 4 ottobre 1995: si disputa, per beneficenza, una partita fra vecchie glorie juventine e una selezione all stars, è l’addio al calcio di Stefano Tacconi. Dalla tribuna guardavo soprattutto un protagonista: il giovane Riccardo Scirea, con la maglia n°6 e la fascia di capitano. Intensa è la mia emozione al momento della sua sostituzione, perché Dino Zoff– allenatore nella circostanza – si alzò dalla panchina e andò ad abbracciarlo. Brividi.
C’è un’audiocassetta che si chiama “Un Campione del Mondo racconta”, nella quale Gaetano, con la sua mitezza, con il suo buon senso di persona perbene, rievoca la sua inimitabile carriera. Ad un certo punto, parlando del suo primo campionato vinto nel 1975, dice: “Vincemmo lo scudetto e dopo l’ultima partita festeggiammo fino all’alba in un locale . Quando uscii era ormai mattina, passeggiando per arrivare a casa incontravo alle fermate dei tram gli operai che andavano al lavoro. Non so perché, ma provai un senso di vergogna. Mi sembrava di aver avuto troppo dalla vita, io semplice ragazzino scudettato!”
C’è la testimonianza di uno scrittore che vale la pena citare. Roberto Mussapi, nel suo “La polvere e il fuoco”, riserva un paragrafo ai mondiali vinti dall’Italia, e queste parole a Scirea:
“ ….Ma lui, che anticipava come non avendo avversario, che combatteva col tempo e non coll’uomo…..E non fu necessario alcuno scontro, sempre agì di previsione, sempre determinò il lancio in solitudine, nel cuore della partita ed estraneo al suo strepito, al tumulto di Gentile e Tardelli, alla rapida corsa di Bruno Conti, alle frecce di Rossi. Giocò la partita d’anticipo, contro un avversario invisibile: lineare, apollineo nel correre, silenzioso. Lui, più di tutti, ricordo…..”
Voglio infine trascrivere la dolcissima poesia che gli dedicò un giornalista romano, Lino Cascioli.
“Quel silenzio che nasce dal fragore delle passioni,
adesso ti appartiene notte e giorno,
per tutto l’infinito eterno intreccio che aggroviglia il tempo.
Noi passiamo e tu resti. Resta il vago tuo sorriso da sfinge a raccontarci
che il segreto s’addice ad un campione come dentro una favola
l’Enigma, come ad un nudo il velo che l’intorbida.
Nella discorde Babele di volti stralunati che affollano la vita
tu resti come il profilo di un bimbo che dorme,
e ride sulla traccia di un sogno.”
Sarebbe bello che nel calcio di oggi, fatto di isterismi ed esagerazioni abnormi, di soldi e superbia, qualcuno seguisse i suoi insegnamenti, ne emulasse il garbo e l’educazione, gli somigliasse per pulizia morale. Ma è un’illusione, perché il calcio di Scirea non esiste più.
*Andrea Danubi, Castiglione Pescaia GR