Nel marzo del 1923, negli Stati Uniti, nacque il pulp magazine Weird Tales, un’iniziativa editoriale che cambiò radicalmente l’immaginario collettivo della narrazione di genere. Fu un fortunato esperimento che proseguì le pubblicazioni per circa trent’anni. Sulle colonne del magazine trovarono spazio autori e storie dai nomi piuttosto pesanti. E’ il caso di citare Howard Phillips Lovecraft con Il richiamo di Cthulhu o Robert Howard con il ciclo di Conan che riscossero un successo di pubblico grandioso. Sulle opere di Lovecraft si verificarono episodi realmente curiosi, come avvistamenti del malefico libro del Necronomicon e persone che giuravano di averlo comprato da qualche rigattiere.
Intorno ai racconti pubblicati dalle riviste pulp, infatti, si creavano spesso gruppi di fan e circoli culturali che hanno contribuito alla diffusione e alla crescita di opere che poi sono diventate immortali.
Purtroppo ciò che nel mondo anglosassone era pane quotidiano ed anzi, era un genere narrativo di punta, in Italia venne messo da parte e chiuso nelle soffitte, dove rimase praticamente fino alla fine degli anni ‘70.
Agli inizi del ‘900 un tal Benedetto Croce aveva stabilito che la narrativa di genere non aveva valore artistico e quindi era da relegare in un angolo, per favorire la diffusione di opere impegnate e, appunto, “artistiche”. Questo teorema non venne scalfito per molti anni, tanto che dopo la seconda guerra mondiale la narrativa fantastica venne assimilata al fascismo, perché troppo distante dalla retorica della fabbrica, del lavoratore, della conquista sociale e dei vari intellettualismi post sessantottini.
A farne le spese furono, come è noto, autori conservatori come J.R.R. Tolkien (che venne tacciato di fascismo ben prima che i fascisti lo leggessero), ma anche autori progressisti. E’ il caso di ricordare Isaac Asimov, insuperabile uomo di scienza e fantascienza, di sinistra ma, appunto, non impegnato nella lotta contro “il padrone”.
In questa querelle ci andò di mezzo, è il caso di ricordarlo, anche Italo Calvino, un vero e proprio autore comunista che compì l’errore di recuperare il vastissimo patrimonio fiabesco italiano e che nella sua lettera di dimissioni dal Pci scrisse: “Non ho mai creduto, neanche nel primo zelo del neofita, che la letteratura fosse quella triste cosa che molti nel Partito predicavano, e proprio la povertà della letteratura ufficiale del comunismo m’è stata di sprone a cercar di dare al mio lavoro di scrittore il segno della felicità creativa”.