(da Bangkok) Non si arrestano le proteste antigovernative che paralizzano Bangkok da novembre. Il governo thailandese ha deciso di imporre lo stato di emergenza per 60 giorni in vista del voto anticipato del 2 febbraio per cercare di contenere il movimento di protesta che ha bloccato zone della capitale nel tentativo di costringere alle dimissioni la premier Yingluck Shinawatra. Il decreto dà alle agenzie di sicurezza il potere di imporre il coprifuoco, detenere sospettati senza accuse, censurare i media, vietare riunioni politiche di più di cinque persone e dichiarare off-limits alcune aree della capitale. Notizia recentissima è quella che vede Kwanchai Praipan, presentatore radiofonico di un’emittente pro-governativa della Thailandia, ferito da colpi d’arma da fuoco mentre era fuori dalla sua abitazione, a Udon Thani, nel nordest del Paese. Praipan è considerato uno dei leader delle “camicie rosse”, movimento in gran parte rurale, fedele al governo di Yingluck Shinawatra. La nostra collaboratrice, proprio da Bangkok, ci racconta con una testimonianza in loco come vive la popolazione questo stato di agitazione.
*********
Mr. Surawood Sangpraset, cinquantenne nato e cresciuto a Bangkok, si rende disponibile ad incontrarci sulla Charoen Krung road, di fronte ad un chiosco che arrostisce carni e verdure. Lui non manifesta, è filogovernativo, simpatizza per il partito Pheu Thai e vuole le elezioni.
«Suthep Thaugsuban (leader della protesta ed ex deputato dell’opposizione, ndr) si è definito proprietario della Thailandia ed ha detto che il suo è un golpe del popolo» racconta Surawood con aria incredula. «Come si può chiamare ciò che sta capitando a Bangkok un ‘golpe del popolo’ quando l’intento è quello di impedire, proprio al popolo, di scegliere i suoi rappresentanti politici attraverso elezioni democratiche?». In effetti, l’obiettivo dei manifestanti, dopo aver costretto il premier alle dimissioni, è proprio quello di boicottare le elezioni anticipate previste per il 2 Febbraio e poi instaurare un governo riformista di “non eletti”.
Suthep sostiene che il popolo è dalla sua parte, perché allora teme le elezioni? La risposta a questa domanda non è univoca, ed è la soluzione dell’enigma. Secondo i seguaci di Suthep, il loro leader non teme la volontà popolare, ma che la corruzione del sistema vada nuovamente ad orientarsi in favore del clan Shinawatra, e quindi dell’attuale premier ad interim Yingluck Shinawatra. Per i filogovernativi, invece, come Mr. Surawood, l’opposizione sa perfettamente di non aver alcuna chance contro Yingluck perché lei, e prima di lei suo fratello Thaksin Shinawatra, «hanno riformato il sistema sanitario thailandese introducendo un ticket del costo di 30 bath (meno di un euro, ndr); combattuto il narcotraffico e stabilito che venisse inflitta la pena capitale ai trafficanti; sostenuto ed accresciuto l’export e valorizzazione dei prodotti thai nel mondo; costruito il nuovo aeroporto e mezzi pubblici» ci spiega il nostro interlocutore. Ed ancora, «la gente ama la famiglia Shinawatra per tutto quello che ha fatto, ed i suoi avversari sanno bene che l’unico modo che hanno per prendere il potere è quello antidemocratico» conclude.
Eppure, a giudicare dalle migliaia di manifestanti nelle strade che sventolano bandiere e costruiscono barriere con sacchi di sabbia, non sono in pochi a pensarla come Suthep. «Le persone che protestano contro l’attuale governo provengono dal Sud del paese, da zone della Thailandia in cui è presente una grande concentrazione di musulmani e – guarda caso – Suthep ha parenti e simpatie tra i musulmani» ci confessa Surawood, «secondo me le ragioni del loro sostegno non sono politiche come vogliono far credere ma religiose».
Il Re Rama IX, salito al trono nel lontano 1946 e profondamente venerato dalla sua gente, ha preferito non prendere posizione perché «come tutti i padri, desidera che i propri figli diventino grandi e siano in grado di risolvere le loro questioni autonomamente» – ci spiega Surawood. Il tempo a disposizione è terminato, salutiamo Mr. Sangpraset cercando d’istinto una stretta di mano, ma lui s’inchina, congedandosi a mani giunte da vero thailandese.